Il diritto di panorama: desiderio utopico o realtà concreta e tutelabile?

La ricerca del “bello” pervade da sempre la storia dell'uomo, il quale in esso individua quando un modo per, elevandosi, avvicinarsi al divino, quando, invece, semplicemente una chiave per appagare i propri sensi, per provare per il tramite del medesimo un piacere per così dire spirituale.

Ecco, l'indagine circa la tutelabilità in concreto nel nostro ordinamento di un diritto di panorama certamente si propone di riportare in una dimensione terrena e materiale un'espressione della ricerca del bello. E' indubbio, infatti, che la possibilità di ammirare una suggestiva veduta rientri tra le più comuni declinazioni di “bello”, peraltro, azzarderei, anche tra le più indiscusse.

E' parimenti indubbio, allo stesso tempo, che, laddove tale beltà sia fruibile da un immobile di proprietà privata, questo acquisti non meramente prestigio spirituale, ma anche un notevole apprezzamento in termini economici, che il proprietario, ovviamente, aspirerebbe a difendere vita natural durante.

Da ciò, l'interrogativo che apre il presente articolo: il diritto di panorama è un desiderio utopico o una realtà concreta e tutelabile?

In realtà, pur non essendo il mondo del diritto italiano – ed in particolare dottrina e giurisprudenza - insensibile alla questione, non esiste nel nostro ordinamento un vero e proprio diritto di panorama, ossia, detto in altri termini, non è previsto che il sol fatto di esser proprietario di un immobile “con vista” comporti il nascere di un diritto di panorama, dunque di una situazione giuridica soggettiva riconosciuta e, di conseguenza, salvaguardata dall'ordinamento (peraltro un dubbio sorge spontaneo: essendo la bellezza per sua natura soggettiva, come si sarebbe potuto determinare se l'immobile di cui si tratta avesse o meno una veduta la cui bellezza ne avrebbe imposto la tutela? Si sarebbe corso il rischio di ampliare eccessivamente le maglie della fattispecie o, al contrario, di restringerle alquanto, magari subordinandole a farraginosi e, verosimilmente, onerosi procedimenti tecnico-amministrativi o giudiziali di accertamento della stessa).

Quindi, venendo al dunque, qual è la disciplina in materia?

Nel nostro codice civile esiste un istituto declinabile anche in materia di diritto di panorama: la servitù.

Questa, prevista dagli articoli 1027 e seguenti c.c., è un diritto reale di godimento che consiste nel peso imposto ad un fondo – noto come servente – per l'utilità di un altro e diverso fondo - c.d. dominante - appartenente ad un diverso proprietario, dimodoché quest'ultimo beneficia della limitazione imposta al primo.

Essa, che annovera tra le sue peculiari caratteristiche

- la realità, ossia la sua inerenza al fondo di talché, una volta esistente, la servitù seguirà l'immobile a prescindere dalla persona del suo proprietario;

- l'assolutezza, cioè la possibilità di far valere il proprio diritto contro chiunque, impedendo che terzi ne limitino la portata;

- l'utilitas del fondo dominante, che può tradursi anche semplicemente nella maggior comodità o amenità del medesimo;

- la necessità che il peso imposto al fondo servente consista in un divieto di fare o in un dover tollerare e mai in un fare (servitus in faciendo consistere nequit);

- l'appartenenza dei fondi a due o più proprietari diversi (nemini res sua servit);

- la vicinitas dei due fondi, ossia il fatto che gli stessi siano collocati fisicamente in modo da poter essere il servente in grado di arrecare l'utilità prevista al dominante,

è ampiamente disciplinata dal codice civile nelle sue manifestazioni tipiche ma, com'è pacifico, laddove rispetti tutti i caratteri propri della figura, può anche tradursi in declinazioni per così dire atipiche (inteso come non disciplinate espressamente a livello codicistico), quale, per l'appunto, la servitù di panorama o servitus altius non tollendi.

Questa consiste in una servitù negativa, ossia attributiva a favore del proprietario del fondo dominante del diritto di vietare che sul fondo servente si costruisca oltre una certa altezza, segnatamente quella che impedirebbe il permanere della veduta panoramica, ed atipica, cioè non espressamente disciplinata dal legislatore ma comunque riconosciuta in giurisprudenza e dottrina.

Quanto a ciò che, forse, più ci interessa, essa non può essere costituita coattivamente, ossia, ritornando a quanto sopra anticipato, non esiste un diritto in capo al proprietario di un fondo con vista panoramica di vedersi riconosciuta forzosamente, ed a prescindere dalla volontà in tal senso del proprietario del fondo che sarebbe destinato ad esser servente, una servitus altius non tollendi.

Essa, invece, può esser costituita in tre diverse modalità:

a) in modo volontario (contratto, testamento);

b) per destinazione del padre di famiglia;

c) per usucapione.

Nel primo caso, il proprietario del fondo dominante, per ottenere l'utilità desiderata – ossia proprio il diritto di poter godere del panorama apprezzabile dal proprio fondo senza che il vicino possa sopraelevare o piantumare così impedendo la veduta – ha la necessità di concludere con quest'ultimo un contratto, ovvero può altresì veder costituito il diritto reale in oggetto mediante testamento con il quale il proprietario del fondo servente, a ciò addivenendo, lasci in eredità a terzi un immobile che, per effetto della disposizione testamentaria, venga ad esser gravato da una servitù di panorama. E' evidente che, però, nel caso dell'atto di ultima volontà, il proprietario dell'immobile con vista non potrà, come invece nell'ipotesi contrattuale, attivarsi a livello negoziale per ottenere quanto desiderato, ma soggiacerà passivamente al ben volere in punto di morte del vicino.

Per quanto concerne il punto sub b), si tratta di una fattispecie che origina dalla preesistenza in capo ad un unico proprietario di quelli che successivamente sono venuti ad esser fondi diversi ma che in principio erano un unico immobile, proprietario il quale a suo tempo utilizzava una porzione del proprio fondo – poi divenuta fondo autonomo – al servizio di un'altra – anch'essa poi, a seguito di divisione, divenuta indipendente - , a tal fine avendo approntato opere percettibili e durevoli.

L'acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia (art. 1062 c.c.), dunque, si pone come uno strumento mediante il quale l'ordinamento attua la percepita necessità di garantire che, in presenza dei medesimi requisiti di apparenza (pre-uso, opere visibili) che giustificherebbero una servitù ed in assenza di volontà contraria derivabile dall'atto di parcellizzazione del fondo originario, sia mantenuto l'uso fattuale precedente, tale per cui parte del fondo traeva utilità da altra e diversa porzione. Ciò mediante, in questo caso, la costituzione ex lege di una servitù analoga per contenuto rispetto a quella esercitata dall'unico proprietario originario (che, dunque, ben potrebbe essere anche una servitù di panorama).

L'usucapione (sub c)), invece, è un modo di acquisto della servitù a titolo originario configurabile in caso di esercizio ventennale – continuo, pubblico e non violento - da parte di un soggetto di un'attività fattuale insistente su di un fondo altrui identica per contenuto a quella propria di una servitù, in assenza di opposizioni qualificate provenienti dal proprietario (ad es. domanda giudiziale).

Requisito necessario, secondo la giurisprudenza (che, per inciso, assume in questo caso un ruolo determinante, dovendosi richiedere proprio al Giudice competente una pronuncia dichiarativa in materia di acquisto di servitù di panorama per destinazione del padre di famiglia ovvero per usucapione), affinché si possa valutare l'acquisto di una servitù di panorama per destinazione del padre di famiglia o per usucapione è, in ogni caso, l'esistenza di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta, destinate nitidamente all'esercizio della servitù. Non è stata, a tal proposito, ritenuta sufficiente la presenza in loco di un muretto, una ringhiera, un terrazzo, richiedendo la giurisprudenza un quid pluris.

Esaminati i rimedi per così dire preventivi, è utile procedere con quelli a posteriori, patologici, quelli cioè che potrebbero esser vagliati qualora il vicino abbia proceduto a costruzione o a piantumazione in modo e maniera da privare in tutto o in parte il proprietario del fondo con vista della propria veduta.

In tal caso, per prima cosa occorre verificare se gli alberi o la costruzione siano stati elevati a distanza di legge dal confine. Prevedono, infatti, gli articoli 892 e 873 del codice civile che, quanto ai primi, qualora essi siano ad alto fusto, devono essere piantati a distanza non inferiore a tre metri dal confine (salvo quanto stabilito da regolamenti e, in mancanza, usi locali), così come, con riguardo alle seconde, esse, a meno che nei regolamenti locali non sia disposto diversamente, devono essere edificate a distanza non minore di tre metri tra loro (se non unite o aderenti).

In queste ipotesi, qualora si ravvedesse la violazione della normativa vigente, imposta sia a tutela delle ragioni del privato, ed in specie delle esplicazioni del proprio diritto di proprietà, sia a tutela di un interesse pubblico alla salubrità degli ambienti ed alla corretta organizzazione urbanistica, il soggetto leso potrebbe agire domandando la rimozione di quanto abusivamente realizzato (tutela ripristinatoria) ed il risarcimento del danno sofferto (tutela risarcitoria).

Per concludere, rimane da analizzare un ultimo rimedio da ricercarsi nella disciplina in materia di atti emulativi (art. 833 c.c.).

Con essi si fa riferimento alle condotte, tenute dal proprietario di un immobile, che non abbiano alcun altro scopo che non sia recare molestia ad altri.

Questo istituto, il cui accertamento presuppone una duplice analisi - elemento oggettivo: azione che non ha alcuna utilità ulteriore rispetto a nuocere altri; elemento soggettivo: prova dell'animus nocendi, ossia della volontà di arrecar danno ad altri mediante tale condotta, prova che peraltro, qualora l'elemento oggettivo assuma carattere particolarmente consistente, è da ritenersi presunta - , si pone come limite all'ampiezza del diritto di proprietà, che consente al titolare di farne ciò che vuole (uso, non uso ed addirittura abuso) purché, per l'appunto, ciò non si traduca nella lesione di un diritto altrui.

Certamente, però, non semplice si prospetta la prova che la condotta di colui il quale pianti sul proprio fondo a distanza legale alberi ad alto fusto si traduca in un qualcosa di totalmente privo di utilità per il medesimo, e contestualmente rivolto unicamente a nuocere il proprietario del fondo finitimo; ciò sebbene la giurisprudenza non abbia mancato di riconoscere la presente fattispecie, ad esempio in un caso simile a quello prospettato o ancora nel caso in cui un vicino aveva installato sul muro di recinzione di un fabbricato, celata da alberi ad alto fusto e folta chioma, una finta telecamera posizionata in direzione del balcone del vicino (cfr. Cass. 11 aprile 2001, n. 5421).

In tali ipotesi, il soggetto leso avrà diritto di agire dinanzi al Giudice competente potendo domandare, a seconda dei casi, tutela inibitoria (ossia la cessazione della condotta lesiva), ripristinatoria e/o risarcitoria.

Dunque, a ben vedere, all'esito di quanto sopra esposto, possiamo concludere che, sebben non esista nel nostro ordinamento un vero e proprio diritto di panorama, ciò non tolga che, mediante gli istituti infra esaminati, al desiderio di mantenere inalterata la gradevole veduta di cui gode un immobile si possa, al ricorrere delle condizioni a tal fine richieste, dar seguito giuridicamente.

Francesco Faccioli

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