La successione necessaria: definizione e peculiarità.
L'istituto della successione necessaria, disciplinato agli artt. 536 e ss. del codice civile, si connota per essere una sorta di eccezione alla regola generale che vede ciascuno libero di disporre, per quanto concerne la sua successione, dei propri beni come preferisce, a ciò potendo provvedere mediante testamento.
Senonché, come anticipato, la successione necessaria si impone quale limite ex lege alla suddetta libertà di testare, in particolar modo prevedendo l'obbligo di includere inderogabilmente nella propria successione, con quote predeterminate dalla legge, alcune categorie di successibili (coniuge – anche il partner dell'unione civile - , figli, ascendenti) in ragione dei più stretti vincoli familiari.
Il legislatore, infatti, ha ritenuto preferibile che, in caso di morte di un membro della famiglia, fosse mantenuta se possibile una sorta di unità familiare, anche di natura patrimoniale, a tal fine sancendo il prevalente interesse a veder trasferita, quantomeno in parte, la massa ereditaria ai famigliari più prossimi piuttosto che ad un “estraneo”.
Tirando le somme, la legge stabilisce che, in presenza di coniuge/partner, figli, ascendenti (soltanto in assenza di figli) – noti come legittimari, riservatari, eredi necessari - , una parte dei beni del de cuius, definita quota di legittima o riserva, sia necessariamente devoluta ai primi; la successione che si verifica in tali casi prende il nome di necessaria, da distinguersi dalla successione c.d. legittima, ipotesi che ricorre laddove si apra una successione in assenza di testamento (ab intestato), dunque disciplinata interamente dalla legge.
Come sopra anticipato, l'istituto della successione necessaria, quando ricorre, non si limita a prevedere che i successibili come sopra individuati siano meramente inclusi nella successione del de cuius, ma ne determina altresì la quota “minima, necessaria” che deve esser loro inderogabilmente attribuita.
Vediamo l'entità delle quote necessarie stabilite dalla legge per ciascuna categoria dei riservatari:
A) figli: nessun coniuge/partner, metà del patrimonio in caso di unico figlio, 2/3 se sono più di uno;
B) coniuge/partner: metà patrimonio in assenza di figli e ascendenti, 1/3 con un figlio (a cui parimenti spetta un ulteriore terzo), ¼ con due o più figli (a cui spetterà, invece, complessivamente la metà), ½ in presenza di ascendenti (a cui andrà ¼);
C) Ascendenti: oltre alle ipotesi di cui sopra, in linea generale ad essi, considerati come detto legittimari soltanto in assenza di figli, spetta 1/3 del patrimonio ereditario, che si riduce ad ¼ se con essi concorre un coniuge/partner.
Oltre a ciò, al coniuge/partner, ai sensi dell'art. 540 c.c., spetta un legato ex lege, consistente nel diritto di abitazione nella casa adibita a residenza familiare e nel diritto d'uso dei mobili che la corredano, a patto che il tutto fosse di proprietà esclusiva del defunto o in comunione tra i coniugi/partner.
Tutti i diritti come sopra rappresentati sono garantiti anche al coniuge separato che non sia stato ritenuto responsabile del declino del rapporto coniugale; qualora, invece, al coniuge venisse addebitata la separazione, se il medesimo godeva, al momento dell'apertura della successione, degli alimenti a carico del de cuius, allo stesso viene riconosciuto il diritto a percepire un assegno vitalizio commisurato all'entità delle sostanze ereditarie, nonché alla qualità ed al numero degli eredi legittimi. In ogni caso, l'ammontare del medesimo non potrà superare quello della prestazione alimentare goduta.
Procediamo vedendo cosa accade in concreto a livello giuridico nel momento in cui all'apertura della successione esistano dei legittimari.
In tal caso, la massa ereditaria viene idealmente a dividersi in “riserva”, ossia la parte che deve necessariamente esser devoluta agli eredi necessari, e quota “disponibile”, di cui il de cuius era libero di disporre.
È bene precisare che la natura intangibile della quota di legittima ha natura quantitativa, non qualitativa: ciò significa che il de cuius è libero di liquidarla in danaro o beni determinati, purché, per l'appunto, sia rispettato il valore economico della medesima.
Per completezza espositiva, è utile dar conto di alcuni istituti strettamente correlati con l'argomento della presente dissertazione, quali la cautela sociniana, il legato in sostituzione di legittima ed il legato in conto di legittima.
Il primo istituto trae ispirazione da quanto elaborato dal celebre giureconsulto del cinquecento Mario Socino, il quale elaborò la soluzione che si riferirà di seguito in occasione di un parere richiestogli con riguardo alla successione di un nobile fiorentino.
Egli ragionò in merito alla situazione che si verifica laddove il de cuius lasci a favore dell'unico legittimario la nuda proprietà di un immobile – unica posta attiva nella massa ereditaria - il cui usufrutto viene ceduto mediante legato ad un estraneo. Il valore della nuda proprietà in sé sarebbe inferiore a quello della legittima, ma per verificare se vi sia una lesione della quota medesima occorrerebbe capitalizzare l'usufrutto, cosa impossibile essendo indeterminata la durata dello stesso (rectius: la durata della vita dell'usufruttuario, e dunque dell'usufrutto che con la fine della stessa andrebbe estinguendosi). A ben vedere, quindi, risulterebbe complesso valutare se la disposizione integri in concreto una lesione di legittima, motivo per cui il legislatore, ai sensi dell'art. 550 c.c., in tal caso nega l'esperibilità dell'azione di legittima, lasciando al riservatario la scelta tra eseguire la disposizione (ed ottenere dunque la nuda proprietà dell'immobile, oltre al reddito residuo dopo aver soddisfatto il legato) o ottenere la proprietà piena della quota di riserva (la metà), lasciando al legatario la disponibile (l'altra metà).
Con legato in sostituzione di legittima, invece, s'intende, ex art. 551 c.c., la disposizione testamentaria tale per cui il de cuius, ad esempio per evitare il frazionamento del patrimonio ereditario, attribuisce al legittimario un legato di somme o beni determinati, a patto che egli rinunzi espressamente ad ogni ulteriore pretesa sull'eredità. Anche in questo caso, il legittimario può scegliere: o ritiene il legato (rinunziando a richiedere l'eventuale differenza tra il maggior valore della legittima e quello del legato medesimo, ed altresì non divenendo erede), che percepisce in sostituzione di legittima, oppure vi rinuncia, e domanda che gli sia corrisposta la quota necessaria.
Infine, con legato in conto di legittima si fa riferimento ad un istituto tale per cui il testatore lega ad un erede necessario somme o beni determinati, da imputarsi alla sua quota di riserva, ma precisa che viene fatto salvo, a favore del medesimo il diritto di domandare un eventuale supplemento laddove i beni attribuitigli non raggiungano l'entità della legittima.
Come determinare a quanto ammonti nel caso di specie la quota necessaria?
La prima cosa da fare è procedere con la c.d. riunione fittizia, un'operazione meramente contabile che consiste nel sommare al relictum (valore dei beni appartenenti al defunto all'apertura della successione) il donatum (valore delle donazioni eventualmente disposte in vita dal de cuius), al fine di determinare la base di calcolo a partire dalla quale ricostruire, applicando i criteri previsti dalla legge, l'ammontare di quote necessarie e disponibile.
Una volta determinato l'ammontare in astratto della quota necessaria, occorre verificare, tenendo conto anche di eventuali legati e donazioni fatti al legittimario – che si presumono “anticipi” sulla quota di legittima -, se in concreto sia stata rispettata la quota di riserva a lui inderogabilmente spettante.
Qualora sia riscontrata una lesione della quota di legittima, il rimedio tipico esperibile dal riservatario che tale pregiudizio abbia patito è l'azione di riduzione.
Questa, prevista dall'art. 554 c.c. (e ss.), consente di aggredire le altre disposizioni testamentarie, riducendole proporzionalmente, ovvero le donazioni fatte in vita dal de cuius, diminuite dalla più recente alla più risalente, a seconda che l'una o l'altra operazione abbia configurato la lesione di legittima. Ciò, si ripete, al fine di veder reintegrata la quota di legittima spettante all'erede necessario.
La domanda di riduzione, se ha per oggetto beni immobili o mobili registrati, è soggetta a trascrizione; essa si prescrive nel termine di dieci anni dalla data di accettazione di colui che è stato chiamato all'eredità con il testamento che ha determinato la lesione della riserva, qualora tale lesione sia per l'appunto imputabile ad una disposizione testamentaria, dall'apertura della successione, invece, qualora la lesione de qua sia stata integrata da donazioni.