I più ricorrenti profili d'irregolarità che può presentare un contratto di mutuo.
Il contratto di mutuo, alquanto diffuso a livello sociale, pur nascendo ispirato da una ratio meritevole, quale la possibilità di commutare l'accesso immediato ad una somma liquida di denaro con la restituzione periodica del capitale maggiorato dagli interessi, può presentare e, ahimé, spesso presenta (come anticipavo già nel mio post del 17.12.2022), notevoli irregolarità, esito dello squilibrio informativo ed in termini di potere contrattuale che intercorre tra l'istituto mutuante ed il mutuatario.
Procedo dunque ad analizzare partitamente le singole ipotesi più ricorrenti.
- L'indeterminatezza del tasso d'interesse.
Iniziamo esprimendo un concetto che potrebbe sembrare ovvio, ma che non ritengo lo sia: in un contratto che sia commutativo e non aleatorio, come ad esempio un contratto di mutuo, la parte deve essere perfettamente a conoscenza dell'oggetto della pattuizione cui va assoggettandosi. Deve, in altri termini, essere pienamente in grado di sapere ciò a cui è obbligata e ciò a cui ha diritto, nell'esatto ammontare qualitativo e quantitativo di tali disposizioni.
Ciò trova conferma ed esplicitazione nell'art. 1346 c.c., secondo cui l'oggetto del contratto deve essere lecito, possibile, determinato o determinabile.
Ad ulteriore presidio di tale incombenza informativa, la cui ratio sta nell'esigenza di garantire che la parte sia posta nelle condizioni di ponderare con coscienza ciò a cui si espone concludendo un contratto, il legislatore prevede all'art. 1284 c.c. che gli interessi superiori alla misura legale debbano essere determinati per iscritto e, in caso di violazione di tale principio (perché le parti non hanno realmente determinato l'ammontare dei medesimi o perché, pur avendolo fatto, non l'hanno trasfuso in una disposizione scritta), gli stessi siano dovuti nella misura legale.
Tale combinato disposto assume particolare rilevanza nel contratto di mutuo - oggetto della presente esposizione - laddove l'esplicitazione, in modo chiaro, comprensibile, nitida dell'ammontare del tasso d'interesse è condizione chiave affinché sia possibile al mutuatario prefigurarsi l'onerosità del contratto di mutuo che va stipulando.
Quanto affermato trova forza e conferma nella giurisprudenza, la quale non ha mancato anche di recente di sostenere e ribadire come, qualora non sia possibile determinare con chiarezza il tasso d'interesse applicato ad un contratto di mutuo – e, a tal proposito, l'indeterminatezza potrebbe discendere non soltanto da un'inesatta determinazione o dalla prospettazione di alternative, ma anche dall'inserimento di clausole singolarmente chiare dal punto di vista matematico-giuridico ma tra loro incompatibili - , la disposizione relativa allo stesso debba considerarsi illegittima, nulla e pertanto sostituita ex lege (art. 1284 c.c.) con il tasso legale vigente (cfr., ex multis, Tribunale di Milano del 30.10.2013, Corte d’Appello Milano del 18.03.2014 n.1095....Trib. Lucca 10.06.2020, Trib. Massa 5.08.2020).
Lo sviluppo dell'argomento s'intreccia a questo punto con altre criticità ricorrenti nei contratti di mutuo, quali la mancata indicazione del piano d'ammortamento utilizzato e l'illegittima capitalizzazione degli interessi.
A tal proposito, il piano d'ammortamento, basato su precise regole di matematica finanziaria, indica come va ammortandosi il capitale nel tempo, ed è dunque fondamentale perché il mutuatario comprenda in che modo si estinguerà il proprio debito.
Esso può presentarsi in diverse articolazioni, le più ricorrenti sono:
- piano con metodo italiano;
- piano con metodo francese (o progressivo);
- piano con metodo tedesco.
La scelta dell'uno o dell'altro piano d'ammortamento conduce a risultati drasticamente diversi in termini di costo complessivo del mutuo (ossia somma totale che il mutuatario dovrà restituire).
Vediamo sinteticamente perché.
Il piano all'italiana prevede che l'ammontare della singola rata del mutuo sia costituito da una quota capitale costante ed una quota interessi variabile e decrescente nel tempo calcolata sull'ultimo debito residuo.
Il piano con metodo francese, invece, si caratterizza per il fatto che le rate sono posticipate e l'importo erogato viene restituito con interessi in rate costanti (di uguale importo) comprensive di parte del capitale e degli interessi, questi ultimi calcolati sul capitale residuo non ancora restituito (debito residuo). Ciò conduce, dunque, ad osservare un'evolvere di quota capitale ed interessi inversamente proporzionale: la prima cresce, la seconda decresce in maniera progressiva.
Il piano alla tedesca è molto simile a quello con metodo francese (prevede anch'esso infatti la corresponsione di una rata costante), da cui differisce per le modalità di pagamento degli interessi, che avviene in via anticipata, ossia all'inizio del periodo in cui matureranno.
L'incidenza della tipologia di piano d'ammortamento ai fini del costo complessivo del mutuo s'interseca con un altro elemento di sicuro interesse: il regime di capitalizzazione degli interessi.
In ciascun piano, infatti, gli interessi possono essere capitalizzati in modo semplice, con gli interessi che crescono, in base ad un calcolo lineare, in modo proporzionale al decorrere del tempo, o composto, che prevede un calcolo esponenziale, con conseguente crescita degli interessi in modo più che proporzionale rispetto al tempo.
Non è difficile comprendere come l'applicazione dell'uno o dell'altro piano di ammortamento, unitamente all'adozione del regime di capitalizzazione degli interessi semplice o composto, possano condurre a risultati matematici totalmente diversi.
Basti pensare che, ponendo a confronto, in due mutui per il resto identici (capitale 100.000,00 euro, 240 rate mensili, tasso d'interesse al 5% annuo), le due tipologie di piano d'ammortamento più diffuse (metodo italiano e francese), si ottiene, quanto agli interessi complessivamente dovuti:
- € 58.389,38, in caso di piano d'ammortamento alla francese con regime di capitalizzazione composto degli interessi;
- € 44.486,41 in caso di piano d'ammortamento alla francese con regime di capitalizzazione semplice degli interessi;
- € 50.208,33 in caso di piano d'ammortamento all'italiana con regime di capitalizzazione composto degli interessi;
- € 38.837,99 in caso di piano d'ammortamento all'italiana con regime di capitalizzazione semplice degli interessi.
Alla luce della semplice lettura dei dati di cui sopra, si apprende in tutta la sua potenza dirompente la rilevanza di una corretta indicazione delle condizioni contrattuali applicate in materia di piano d'ammortamento e regime di capitalizzazione degli interessi: a parità delle restanti condizioni, infatti, intercorrono, tra la peggiore (piano d'ammortamento con metodo francese in regime di capitalizzazione composta degli interessi) e la migliore (piano d'ammortamento con metodo italiano in regime di capitalizzazione semplice degli interessi) opzione per il cliente mutuatario ben € 19.551,39 di soli interessi!!!
Dunque, come può il cliente ponderare la sostenibilità e l'opportunità per lui di stipulare un contratto di mutuo laddove tali condizioni siano omesse (o comunque non comprensibili)?
Ai sensi dell'art. 117.4 T.u.b., la mancata pattuizione ed indicazione del regime finanziario adottato comportano un grave vizio da cui consegue l'obbligo della banca di restituire tutte le somme illegittimamente percepite, con il ricalcolo degli interessi al tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell'operazione.
Buona parte della giurisprudenza, inoltre, afferma nitidamente che l'adozione di un piano d'ammortamento alla francese con regime di capitalizzazione composto degli interessi verrebbe a comportare l'applicazione in concreto di interessi anatocistici – condannati dalla delibera C.i.c.r. del 9 febbraio 2000 - (Trib.Massa del 4.02.2020, Provenzano; Corte di Appello di Campobasso n.412 del 5.12.2019, Trib.Campobasso 6.11.2020 n.523, la già citata sentenza del Trib.Cremona, N. Corini 28 marzo 2019; Trib. Roma, A. Zanchetta, 29 maggio 2019; Trib. Massa, Provenzano 13 novembre 2018 e 7 febbraio 2019; Trib. Napoli n. 1558, 13 febbraio 2018; Trib. Lucca n. 763/18; Trib. Ferrara n. 287/18, ed in precedenza Trib. Isernia 28/7/2014, Tribunale di Larino, Sez.Distaccata di Termoli n.119/2012; Tribunale Ferrara 5.12.2013 - Est.Anna Ghedini), e ciò per dimostrate ragioni di natura matematico-finanziaria, scientifica.
Nell'alveo delle disposizioni contrattuali che incidono sulla trasparenza e sulla correttezza informativa e, dunque, sulla possibilità in capo al cliente di ponderare consapevolmente la scelta circa la conclusione di un contratto di mutuo, vi rientrano certamente l'indicazione di t.a.e.g., i.s.c. e commissione di massimo scoperto.
Scendendo nel dettaglio, con t.a.e.g. (tasso annuo effettivo globale) si fa riferimento ad un valore, calcolato mediante formula matematica, indice sintetico del costo complessivo del credito.
L'i.s.c. (indicatore sintetico di costo), invece, è un indicatore la cui ratio è simile ma non uguale a quella alla base del t.a.e.g., in quanto, sebbene nel contratto di mutuo i due valori siano coincidenti, in realtà il primo, anch'esso indice del costo complessivo del credito, considera le spese accessorie come dei costi che concorrono a determinare l'onerosità totale del contratto, il secondo le considera come parte di un tasso d'interesse.
Circa la rilevanza determinante dei suddetti indicatori nella corretta formazione del consenso alla stipula in capo al cliente si è espressa più e più volte la giurisprudenza, secondo la quale, stante l'obbligo indiscusso imposto ex lege di esplicitare t.a.e.g./i.s.c. anche nei contratti di mutuo, condanna apertamente la prassi di indicare un valore inferiore rispetto a quello realmente corretto, in quanto condotta idonea ad ingannare il mutuatario in merito all'effettiva onerosità del credito a cui si appresta ad accedere (cfr., ex multis, Tribunale di Cagliari 1455/2019 del 26.06.2019, Est.Nicola Caschili, la sentenza del Tribunale di Siena del 14.05.2019, la sentenza del Tribunale di Udine del 5 luglio 2018 Est.Massarelli, pubblicata su Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20496 - pubb. 19/09/2018, la sentenza del Tribunale di Cremona del 12.07.2018 Est. Nunzia Corini, pubblicata su “Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20804” lo scorso 20.11.2018, la sentenza del Tribunale di Benevento 165/2018 Est. Abbondandolo, la sentenza del Tribunale di Trapani n.156 del 13.02.2018 Est. Sole, la sentenza del Tribunale di Pesaro n.801/2018 Est.Flavia Mazzini, la sentenza del Tribunale di Ancona 889/2018 Est. Roberta Casoli, la sentenza Tribunale di Chieti 230/2015 Est. Ria, la sentenza del Tribunale di Benevento del 30.12.2015 Est.Genovese, la sentenza 7779/2015 del Tribunale di Napoli, Est.Sacchi).
Qualora, poi, tale irregolarità dovesse esser riscontrata in concreto, ne deriverebbe la nullità della relativa clausola con ricalcolo del t.a.e.g. In modo equivalente al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'Economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto; nessun'altra somma sarà dovuta a titolo di tassi d'interesse, commissioni o altre spese.
Con commissione di massimo scoperto, infine, s'intende la percentuale, calcolata al tasso convenuto con la banca, applicata sulla massima esposizione avuta sul conto corrente durante il trimestre di riferimento. Rappresenta, in altri termini, la controprestazione che la banca esige dal cliente per la copertura offertagli per lo scoperto.
Quanto alla corretta indicazione di tale valore all'interno di un contratto di mutuo, la Suprema Corte afferma che perché la banca possa pretendere somme a titolo di commissione di massimo scoperto, è necessario che esista un'espressa pattuizione (dunque specificamente sottoscritta dal cliente) che la preveda e ne determini l'ammontare (cfr. Cass. Sent. 12.03.2020, n. 7105).
La conseguenza, sempre secondo la giurisprudenza, dell'indeterminatezza delle c.m.s. è la nullità della relativa disposizione (cfr., ex multis, Trib. Pescara 23.06.2020 n. 675; Trib. Lecce 5.05.2020, Trib. Milano 17.07.2019 n. 7182; Corte d'Appello Milano 14.01.2019, Trib. Firenze 15.11.2019 n. 3447, Trib. Lucca 30.09.2016 n. 1938).
Rimanendo in tema di vizi attinenti al tasso d'interesse, di sicuro interesse risultano l'illegittima manipolazione del tasso euribor e l'applicazione di un tasso d'interesse usurario.
A tal proposito, quanto alla prima fattispecie, giova innanzitutto comprendere cosa sia l'euribor (acronimo di Eur Inter Bank Offered Rate): esso è un indicatore medio, pubblicato giornalmente dall'European Money Markets Institute, che riporta il tasso d'interesse medio a cui avvengono le transazioni finanziare in valuta euro tra i più grandi istituti di credito europei facenti parte di un panel e viene utilizzato dalle banche in seno ai contratti di mutuo come parametro di indicizzazione dei mutui ipotecari a tasso variabile.
Esso, laddove presente in un contratto di mutuo, espone principalmente a due potenziali rischi.
Il primo consiste nell'indeterminatezza del medesimo, il quale, per esser correttamente indicato, deve riportare il periodo di calcolo annuo (360 o 365 giorni, ossia anno commerciale o anno civile).
Qualora ciò non avvenga, ne deriva l'indeterminatezza, e conseguentemente la nullità, della disposizione in materia di interessi, con sostituzione ex lege della relativa clausola con un valore pari al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'Economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto.
Seconda questione concerne la c.d. illegittima manipolazione del tasso euribor, ossia la circostanza, emersa in seno ad una decisione della Commissione Europea (4 dicembre 2013), tale per cui alcuni istituti avrebbero, nel periodo intercorrente tra settembre 2005 e marzo 2008, concluso un accordo volto a manipolare illecitamente il tasso euribor.
Da ciò discende la nullità della relativa disposizione in materia di interessi, per il periodo sopra indicato, in tutti i contratti di mutuo che essa prevedessero, con le conseguenze poc'anzi esposte.
Con tasso d'interesse usurario, invece, si fa riferimento ad una fattispecie nella quale un tasso d'interesse risulta esser superiore rispetto al tasso soglia rilevato ed indicato trimestralmente dal Ministero dell'Economia e delle Finanze.
In che modo si procede in questo caso?
Innanzitutto, al fine di verificare l’usurarietà di un finanziamento, devono essere misurate tutte le remunerazioni chieste dalla banca al cliente a qualsiasi titolo (compresa, ad esempio, la c.m.s.).
In particolar modo, sul punto, il Tribunale di Pescara, con l'ordinanza del 28.11.2014, ha fissato il principio secondo il quale, in presenza di una clausola che preveda una penale in caso di estinzione anticipata del mutuo, il tasso effettivo globale del finanziamento deve esser calcolato nell'ipotesi economicamente meno vantaggiosa per il mutuatario, vale a dire l'estinzione anticipata in concomitanza della prima rata. Il procedimento da seguire è quello indicato nella Delibera C.I.C.R. del 9.02.2000 in base alla quale per determinare l'importo del compenso ad una certa data, occorre moltiplicare l'importo restituito anticipatamente per la percentuale indicata e dividere il risultato per cento.
Laddove, all'esito, dovessero esser riscontrati interessi usurari, dovrà applicarsi l'art. 1815, co. 2., c.c., in forza del quale la relativa clausola sarà da ritenersi nulla e non saranno dovuti interessi.
Avvicinandoci alla conclusione della presente esposizione, è necessario concludere con due ulteriori fattispecie ricorrenti nei contratti di mutuo: il superamento del limite di finanziabilità e l'erogazione di un mutuo condizionato.
La prima criticità attiene ai finanziamenti fondiari, ossia a quelle species del contratto di mutuo che abbiano ad oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili.
In tali ipotesi il tub ha assegnato alla Banca d'Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, la competenza a determinare l'ammontare massimo di tali finanziamenti, pari (vedasi delibera CICR del 22 aprile 1995) all'80% del valore dei beni ipotecati o delle opere da eseguire sugli stessi.
Tanto premesso, il problema che si è posto, dunque, attiene alle conseguenze che produce il mancato rispetto di tale limite, avente peraltro natura pubblicistica (Cass., 28 novembre 2013, n. 26672).
Sul punto, dopo anni di contrasti in seno alla giurisprudenza, ad oggi la Suprema Corte ha affermato nitidamente la nullità del contratto di mutuo fondiario nell'ambito del quale sia accertato il superamento del limite di finanziabilità suddetto (cfr. Cass. 17352/2017), e ciò proprio in ragione dell'interesse pubblico che sorregge tale disposizione inderogabile.
Per concludere, con erogazione di mutuo condizionato s'intende il caso in cui, nell'ambito di una clausola apposta in un contratto di mutuo, sia prevista una condizione tale per cui l'accesso al credito da parte del mutuatario non è immediato ma in tutto o in parte subordinato alla realizzazione della condizione medesima.
Si ha, si suol dire, una tradictio ficta.
Ciò, secondo la giurisprudenza, non è affatto privo di rilievo: laddove, infatti, ciò dovesse essere accertato il mutuo de quo non sarebbe azionabile in executivis, non varrebbe cioè come titolo esecutivo in quanto il mutuo si considera titolo esecutivo soltanto laddove si riveli idoneo a trasmettere con immediatezza la disponibilità giuridica della somma mutuata (cfr. Corte di Cassazione, del 27 agosto 2015 n. 17194).
Tale ipotesi, dunque, rappresenta una fondata arma difensiva per il mutuatario laddove dovesse veder azionata nei suoi confronti la tutela esecutiva da parte della banca.